27 settembre 2019: si conclude la “Climate Action Week” una settimana di proteste che ha visto scendere in piazza più di 7.6 milioni di persone, in 185 paesi diversi. La maggior parte delle manifestazioni si è concentrata qui in Europa, dove hanno partecipato più di 3 milioni di persone.
Sulla scia dell’entusiasmo della piccola Greta Thunberg, svedese di 16 anni, la nostra generazione pare abbia riscoperto la necessità di preservare l’ambiente che ci circonda e, secondo alcuni, anche la voglia di scendere in strada e urlare per un’idea. Così, anche le istituzioni nazionali e sovranazionali hanno iniziato a parlare di “Rischio Climatico”, come di un pericolo incombente di cui forse si era parlato troppo poco in passato.
Quanto ci costerà il cambiamento climatico?
Ma c’è un qualcosa di cui pochi manifestanti, e ancor meno i politici, parlano: Quanto costerà questo cambiamento (che non tutti vogliono)?
Nel mondo della finanza, negli ultimi tempi, è divenuto molto in voga il tema dei cosiddetti “rischi di transizione”, ovverosia i rischi conseguenti ad un cambio di paradigma economico. Perché non si tratta semplicemente di cambiare fonte energetica, come fosse una lampadina fulminata, ma si sta parlando di cambiare interi sistemi economici basati su carbone, petrolio e gas naturale. Una stima accurata e condivisa dei costi da sostenere per effettuare questo “cambiamento energetico” non esiste al momento, a causa delle innumerevoli variabili in gioco, alcune di difficile quantificazione.
Per farci un’idea, però, possiamo guardare al “Green New Deal”, l’ambizioso programma presentato l’11 dicembre 2019 dalla nuova Commissione von der Leyen, che vorrebbe dimezzare l’emissione di gas nocivi entro il 2030. Il pacchetto che la Commissione ha presentato comprende le misure regolamentari e legislative che dovrebbero permettere all’Unione europea di raggiungere questi nuovi obiettivi.
Obiettivi ambiziosi sicuramente, ma anche costosi, visto che la stessa commissione ha stimato in circa 260 miliardi di euro il costo annuale per permettere questa transizione, e ha previsto oltre 1000 miliardi di euro in investimenti “green” in tutto il continente, da qui al 2030. Per avere un’idea di quanto siano grandi queste cifre, basti pensare che il costo annuale sarebbe pari a circa l’1.5% del PIL comunitario aggregato annuo.
Chi pagherà il conto?
Sorge quindi spontanea un’altra domanda: chi pagherà effettivamente questo conto salato?
La stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha anticipato che verrà disposto un fondo ad hoc per supportare la transizione energetica, pensato soprattutto per i paesi che di più fanno affidamento sul carbone. Ma sono proprio questi paesi, principalmente nell’est Europa, che chiedono maggiori dotazioni, temendo l’impatto di politiche europee troppo “planet friendly” sulle loro economie, ancora troppo deboli.
Come se non bastasse, il momento non è affatto favorevole, visto che il piano viene presentato in un periodo molto caldo per la politica e la diplomazia europea, che a breve avvierà la discussione riguardo il Bilancio Comunitario per il periodo 2021-2027, in cui si deciderà come destinare le risorse della Comunità Europea.
In questo clima di incertezza, se si vorrà davvero cambiare il clima in meglio, bisognerà cercare nuovi strumenti che contemplino i rischi di transizione, assicurando da un lato la sopravvivenza del pianeta e dall’altro la crescita economica, fin troppo stagnante negli ultimi anni.
Dario Marrone
#JEMIBReview
fonte: 1 https://globalclimatestrike.net/7-million-people-demand-action-after-week-of-climate-strikes/