Italia e Regno Unito sono due nazioni opposte per cultura e storia, ma soprattutto per il loro rapporto con il lavoro. Tutto nasce dal ruolo del singolo individuo nei contesti familiari. In Italia siamo abituati a dipendere dai nostri genitori nel corso delle scuole superiori e, in alcuni casi, anche durante l’università. In Inghilterra la maggior parte degli studenti ha già un lavoro part-time a partire dai 16 anni, tanto che il Governo inglese ha uno stipendio minimo creato appositamente per i ragazzi sotto i 18 anni (attualmente di 5 £ per ora). Quindi già da una giovane età i britannici sono abituati a lavorare in contesti dinamici e produttivi, ma non solo, ricevono fin da subito molte responsabilità e possono già avanzare di carriera. Non è un caso che tanti studenti universitari, anche al primo anno, siano già inseriti in aziende con ruoli di “Coordinator” o “Head of Department”.

Tutto ciò crea dei cittadini in grado di far parte della workforce dello Stato in maniera efficiente e accorta, senza quel “trauma” di passaggio tra università e mondo del lavoro. In Italia affidare responsabilità ai giovani sembra più un rischio che una consuetudine. Alla maggior parte degli Italiani è precluso l’ingresso in aziende prima di una laurea triennale. Pertanto i giovani si accontentano quasi sempre di ruoli nella ristorazione, stage più o meno retribuiti, mentre i più fortunati lavorano nelle aziende familiari. La retorica preponderante del Bel Paese è che “I giovani non vogliono lavorare”, quando sarebbe chiaro al più miope degli osservatori che la realtà è un’altra.
L’INGRESSO IN AZIENDA
In Inghilterra per ogni tipo di lavoro, anche cassiere o addetto alle vendite, si compila sempre un questionario in cui sono presenti dati che spaventerebbero qualsiasi datore di lavoro italiano. Tra questi ci sono: le aspettative di stipendio, la “classe sociale” di appartenenza e le aspettative che si hanno per il lavoro. Ogni domanda di lavoro va inoltre sempre accompagnata da una lettera di presentazione, altrimenti è impossibile essere considerati per il ruolo.

Superata questa prima fase si affidano al candidato dei tasks da compiere, e se queste soddisfano le aspettative, si procede ai colloqui. Ci sono generalmente tre colloqui, il primo viene effettuato con il responsabile delle assunzioni (HR), il secondo con il futuro responsabile del candidato e il terzo in presenza del responsabile dell’intero dipartimento (Head of Department).
In Italia la fase di selezione è decisamente più flessibile, c’è più rispetto per il tempo del candidato perché si cerca di fare un colloquio senza call-back se non necessarie. Questo risulta in meno stress sul lavoratore, ma può portare a una scarsa considerazione delle candidature che possono essere scartate in poco tempo. A seguito del colloquio in Italia non viene quasi mai comunicato l’esito se negativo, in Inghilterra si giustifica sempre perché non si è assunto un candidato. Il feedback ricevuto è vitale per potersi riorganizzare in vista di un altro colloquio.

DATI A CONFRONTO
L’equilibrio vita-lavoro in Inghilterra è qualitativamente alto. La settimana lavorativa è stata diminuita a 35 ore, il lavoro si svolge spesso a metà tra remoto e in presenza, soprattutto nelle grandi città come Londra. Al lavoratore vengono concessi tanti benefit come un PC aziendale, abbonamenti gratuiti per i mezzi o per la palestra, e una serie di vantaggi che varia a seconda dell’azienda. In Italia questi servizi sono più l’eccezione che la norma, ma ciò non toglie che il nostro paese è al primo posto nell’equilibrio lavoro-vita stilato dal OECD, Better Life Index. In Italia i lavoratori dedicano il 69% della loro giornata alla cura personale e ai loro hobby, contro il 62% dei britannici. Il salario medio inglese ammonta a 1800 sterline mensili, mentre quello Italiano è di 1700 euro mensili e i poteri d’acquisto dei due paesi sono molto simili. Secondo l’OECD l’Italia ha una qualità della vita lavorativa genericamente superiore, la differenza abissale però consiste nel tasso d’occupazione, al 75% in Inghilterra e in Italia è al 58%.
IN CONCLUSIONE
Il nostro paese ha, per ironia della sorte, molto su cui lavorare. Se esistono buone condizioni nell’equilibrio lavoro-vita è anche vero che abbiamo un tasso occupazionale eccezionalmente basso, soprattutto tra i giovani. Bisognerebbe implementare quei meccanismi che, come abbiamo visto, permettono fin dalla giovane età di accedere al mercato lavorativo. Guardare fuori dal nostro Paese, senza necessariamente sminuire i nostri meriti, ci permetterebbe di migliorare come nazione sotto molti punti di vista e quello lavorativo è uno di questi.
JEMIBreview
Federico Mamone