Le nuove tecnologie informatiche hanno radicalmente mutato l’aspetto e le dinamiche del mondo in cui oggi viviamo. Il processo di digitalizzazione oggi lambisce pressoché ogni ambito dell’attività umana, fisica od intellettuale: i mezzi informatici, da semplici ausiliari dell’operare umano, stanno evolvendosi ed affinandosi in direzione della piena e totale sostituzione dello stesso. Secondo lo studio di McKinsey «A Future That Works: Automation, Employment, and Productivity», pubblicato nel 2017, entro il 2050 il 49% dei lavori sarà esclusivamente svolto dalle macchine.
Nell’ambito dei mercati finanziari, è sotto gli occhi di tutti l’effetto disruptive che sta avendo il diffondersi del FinTech anche tra i player tradizionali del mercato: crowdfunding, servizi di pagamento peer to peer, banche digitali, criptovalute, blockchain (e chi più ne ha più ne metta) sono usciti da una posizione di nicchia – e quasi visionaria – del mercato per plasmarlo e dettarne gli sviluppi futuri.
Una delle applicazioni più interessanti del FinTech è la cosiddetta robo-advice, o consulenza automatizzata: si tratta di servizi innovativi che utilizzano sofisticati algoritmi informatizzati (detti robo-advisor) per erogare servizi di natura finanziaria quali la consulenza e la gestione di portafogli, con intervento umano ridotto o assente all’interno del processo. Generalmente, il servizio più offerto da questa tipologia di algoritmi, e che quasi connota il fenomeno per antonomasia, è la gestione di portafogli di strumenti finanziari.
I robo-advisor hanno fatto il loro ingresso nel settore dei mercati finanziari per la prima volta nel 2010 negli Stati Uniti, e stanno rapidamente guadagnando importanti quote di mercato: si stima che nel 2018 i robo-advisor gestiscano portafogli per un valore complessivo di 371 miliardi di dollari statunitensi. Essi hanno come target di riferimento per la clientela i millennials ed il ceto medio, prefiggendosi l’obbiettivo di eliminare il cosiddetto “advice gap” e aprendo così alle persone di medio reddito il mondo dei servizi finanziari personalizzati grazie all’abbattimento dei costi di gestione ed a soglie minime di investimento assenti o molto basse. In Italia questi servizi sono disponibili dal 2012, ma stentano a decollare, soprattutto tra i giovani: secondo la CONSOB, che di recente ha pubblicato uno studio sul fenomeno della robo-advice, ciò è soprattutto dovuto al basso livello di cultura digitale nel nostro paese, ben al di sotto della media europea.
Ad ogni modo, questi servizi relativamente nuovi sono ancora in una fase iniziale della loro evoluzione: i legislatori dei vari Paesi ancora non hanno specificamente regolamentato questo fenomeno, preferendo proseguire in una fase di osservazione e di studio dello stesso. La pressoché totalità dei mercati finanziari oggi si ispira alla cosiddetta “technological neutrality”: secondo questo principio, il medium mediante il quale viene erogato un servizio di natura finanziaria è irrilevante, salvo eccezioni, ai fini della regolamentazione specifica, prediligendo applicare le stesse regole comuni piuttosto che creare delle norme comuni, col fine di non falsare la concorrenza e di non porre barriere all’ingresso nel mercato. Esempi di eccezioni possono essere la salvaguardia dell’integrità del mercato, la quale ha ispirato la normativa europea MiFID II nella parte dell’algotrading, a seguito dei disastrosi eventi del flash crash del 2010, quando una serie di circostanze determinò il crollo della borsa americana. Non si esclude dunque che un domani, per questa finalità o per altre come la salvaguardia dei consumatori, si arriverà a definire delle regole specifiche per i robo-advisor: per il momento, in Europa ci si è limitati all’emanazione di specifici Orientamenti da parte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati al fine di interpretare alcune norme della normativa comune nell’ambito della robo-advice.
Ma come funziona un robo-advisor?
Generalmente, viene chiesto ad un cliente di registrarsi presso la piattaforma online dello stesso; in seguito ad egli verrà sottoposto un questionario al fine di creare il suo profilo di investitore, soprattutto in termini di propensione al rischio, capacità reddituale e obbiettivi di investimento. Una volta completato, al cliente verrà chiesto di scegliere una delle linee di gestione a lui suggerite; procedendo poi col conferimento del capitale iniziale il robo-advisor in autonomia andrà ad acquistare gli strumenti finanziari componenti il portafoglio, e li gestirà nel futuro compiendo gli opportuni ribilanciamenti.
I robo-advisor applicano strategie di gestione passiva del portafoglio, ispirandosi alla “Modern Portfolio Theory” di Markowitz, e prediligendo strumenti finanziari quali gli ETF (ovvero “Exchange-Traded Funds”), consistenti in quote di fondi replicanti i principali indici del mercato finanziario. Queste strategie e questi strumenti, congiuntamente alla totale o parziale automazione del servizio, permettono di abbattere drasticamente i costi di gestione: in Italia mediamente si va dallo 0,3% allo 0,7% annuo, calcolato sul totale del capitale, nettamente meno di un consulente tradizionale. Inoltre, i robo-advisor generalmente non prevedono un capitale minimo di investimento per accedere al servizi, oppure tale soglia è assai inferiore rispetto a quella richiesta dai consulenti tradizionali.
Sebbene la robo-advice sia nata grazie a pionieristiche startup del FinTech, negli ultimi anni i player istituzionali del mercato finanziario, in Italia e all’estero, hanno iniziato a puntare molto nel settore, offrendo ai consumatori il proprio robo-advisor o acquisendo startup che hanno sviluppato tale tecnologia: emblematica è l’aquisizione di FutureAdvisor da parte di BlackRock nel 2015.
Sebbene c’è chi guardi con diffidenza a tali tecnologie, reclamando la superiorità del servizio erogato da esseri umani, i robo-advisor riescono già oggi ad offrire un servizio qualitativamente paragonabile a quello tradizionale, soprattutto per i patrimoni di entità media. L’ultimo pezzo mancante del puzzle è dato dall’intelligenza artificiale: quando essa sarà effettivamente implementata nel mondo della robo-advice, molti analisti prevedono il definitivo sorpasso ai danni del consulente umano in termini qualitativi.
Quale saranno le conseguenze? Sarà la fine del consulente finanziario o l’intelligenza umana resterà comunque di fondamentale importanza nella gestione del processo?
La risposta non é sicuramente univoca…non ci resta dunque che aspettare e vedere i successivi sviluppi.
Francesco Cartabia
#JEMIBreview