In questi ultimi anni abbiamo sentito parlare molto di intelligenza umana e intelligenza artificiale. Ci sono delle connessioni tra le due? Quali sono i punti di contatto? L’intelligenza artificiale impatterà il nostro modo di vivere nel futuro?
Per rispondere a queste domande oggi abbiamo l’onore di ospitare nel nostro blog un esperto del settore, Stefano Triberti. Dopo il dottorato in Psicologia, ha deciso di continuare i suoi studi approfondendo la tematica delle nuove tecnologie, specialmente nei loro effetti in termini di salute e benessere. Attualmente è docente di “Intelligenza Artificiale e Intelligenza Umana” presso il corso di laurea in Scienze Cognitive e Processi Decisionali dell’Università degli Studi di Milano.
Ci può parlare del suo percorso di studi e del perché si è avvicinato al mondo dell’Intelligenza Artificiale da un punto di vista psicologico?
Mi sono laureato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore dove ho anche avuto l’opportunità di svolgere un dottorato e due anni di Assegno di Ricerca, lavorando a stretto contatto con il Professor Giuseppe Riva. Grazie a queste importanti esperienze formative, mi sono avvicinato alle nuove tecnologie in quanto mi interessava l’ergonomia, e in generale i fattori che permettono di utilizzare efficacemente le tecnologie.
Durante lo stesso periodo ho avuto l’opportunità di seguire presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore un corso di perfezionamento legato alla psicologia del traffico, grazie al quale sono riuscito a partecipare alla ricostruzione di alcuni incidenti stradali per capire quanto la componente psicologica sia in grado di influenzare le nostre azioni.
Dopo queste importanti esperienze ho sempre lavorato nell’ambito nelle tecnologie sia da un punto di vista ergonomico che da uno prettamente psicologico, studiando gli effetti delle tecnologie sulla mente umana. In questo contesto ho scritto il mio primo libro intitolato “Psicologia dei Videogiochi”.
Successivamente vinsi un Assegno di Ricerca presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano, improntato prettamente sull’utilizzo della realtà virtuale e aumentata da parte dei chirurghi. Partendo dalle TAC, abbiamo studiato come è possibile, tramite delle tecnologie avanzate, effettuare delle ricostruzioni tridimensionali. Questi modelli permettono al chirurgo di avere una rappresentazione vicina alla realtà per quanto riguarda l’interno del corpo del paziente e, a fronte delle valutazioni ergonomiche, possono essere utilizzati per la pianificazione pre-operatoria.
Infine mi sono avvicinato all’Intelligenza Artificiale, sempre più utilizzata nel campo della medicina di precisione. Infatti, le IA vengono utilizzate per supportare l’identificazione della diagnosi o del trattamento personalizzato, effettuando analisi su dati complessi come il profilo genomico del singolo paziente.
Ancora oggi però l’utilizzo di questi importanti mezzi porta con sé dei problemi: anche i professionisti medici possono avere un atteggiamento sospettoso nei confronti delle “macchine”, specialmente quando devono prendere decisioni delicatissime sulla base delle loro analisi. Ancora, la relazione medico-paziente e l’alleanza terapeutica possono essere alterate dall’utilizzo di tecnologie, soprattutto se il paziente stesso ne ha una rappresentazione poco chiara e diffidente.
Secondo la sua opinione l’intelligenza artificiale potrebbe cambiare il modo di passare il nostro tempo libero? Saprebbe indicarci degli esempi attuali?
Secondo me è assolutamente possibile, è necessario però discutere di quanto sarà effettivamente percepibile questo cambiamento nella nostra quotidianità. A livello culturale, uno dei problemi dell’intelligenza artificiale è che nessuno ha capito bene di cosa si tratta. Le persone che non lavorano a stretto contatto con queste tecnologie non saprebbero nemmeno che cosa aspettarsi trovandosi davanti a un apparecchio dotato di intelligenza artificiale: alcuni si aspettano un robot, altri un ologramma, mentre altri una voce che parla nell’ambiente, come si vede nei film! All’atto pratico le intelligenze artificiali che si utilizzano per prendere delle decisioni in campi delicati sono degli algoritmi e a livello di interfaccia sono spesso ridotte all’emissione di dati e risultati.
Esistono però altri modi di intendere l’espressione “intelligenza artificiale”. Nei videogiochi si parla da molto tempo di IA; i personaggi non giocanti del videogioco, ovvero quelli che sono guidati dal computer, si comportano in modo apparentemente razionale e realistico agli occhi di chi sta giocando.
In questo caso si percepisce una sensazione molto forte di presenza sociale, ovvero la sensazione di essere insieme a qualcuno nell’ambiente anche se si sta giocando da soli con il proprio PC.
Georgios N. Yannakakis, professore di computer science all’Università di Malta, ha scritto un libro intitolato “Artificial Intelligence and Games”. All’interno di questo libro spiega diverse modalità in cui l’intelligenza artificiale, intesa come algoritmi avanzati di analisi dei dati, possono arrivare a cambiare i videogiochi: i più importanti riguardano l’analisi autonoma del comportamento del giocatore per modificare il gioco stesso, la generazione di ambienti virtuali sempre nuovi per ogni esperienza, e la resa più sofisticata di personaggi non giocanti.
Un esempio interessante riguarda la Riot, azienda produttrice del noto gioco League Of Legends, che già alcuni anni fa ha investito in un laboratorio universitario di ricerca psicologica (dell’Università di York) perché venissero analizzati i dati di gioco allo scopo di comprendere e influenzare il comportamento dei giocatori. Dato che i giocatori più esperti tendevano ad escludere i giocatori nuovi, in quanto meno abili nel gioco, la Riot era interessata a individuare caratteristiche comportamentali dei giocatori associate al comportamento aggressivo, che in ultimo impattava sulla appetibilità del gioco per le nuove generazioni. I risultati delle ricerche hanno permesso di identificare predittori di tali comportamenti, che oggi il gioco analizza automaticamente per influenzare il ban (esclusione) di giocatori poco accoglienti. È un esempio interessante di come il comportamento di gioco possa essere analizzato per modificare l’esperienza di gioco (o, più in esteso, la qualità di un prodotto), e apre all’utilizzo futuro di intelligenze artificiali in questi e altri tipi di analisi.
Oltre che ad un livello puramente analitico, l’intelligenza artificiale può essere usata per rendere più sofisticata la risposta nell’interazione dei cosiddetti ECA, embodied conversation agent, ovvero le figure digitali capaci di mettere in atto modalità sofisticate di interazione e comunicazione.
Che cosa ne pensa di Neuralink, il progetto di Elon Musk?
Neuralink è uno dei famosissimi progetti messi in atto da Elon Musk, noto per aver lanciato sul mercato automobilistico la Tesla.
Neutalink è un dispositivo creato per rivoluzionare il modo di vivere delle persone diversamente abili. Si tratta di un minuscolo chip pensato per essere impiantato nel cervello degli esseri umani, in grado di aiutare le persone affette da paraplegia acuta a controllare computer e smartphone senza l’utilizzo degli arti.
Fino ad oggi non sono stati effettuati degli esperimenti sugli esseri umani, ma solo in un macaco. Questo animale è riuscito a giocare a pin pong con la sola “forza del pensiero”, per così dire, attraverso l’utilizzo di un apparecchio elettronico impiantato nel cervello.
Secondo me si tratta di un progetto interessante dal punto di vista tecnologico, in quanto permette a delle persone con difficoltà motorie di svolgere delle funzioni vitali senza necessitare di un aiuto. Bisogna anche dire che non si tratta di una completa invenzione dell’azienda di Musk, al contrario si lavora da molti anni su diverse tecnologie per la brain computer interface. Ci sono dei risvolti etici abbastanza problematici che sembrano frenare il progredire di questo progetto: sono emerse critiche (e relative risposte di Musk) riguardo al coinvolgimento invasivo degli animali nella ricerca.
Sono dell’idea che un progetto di ricerca di questo tipo dovrebbe essere portato avanti con grande attenzione al rispetto degli animali, oltre che ovviamente degli esseri umani quando questi venissero coinvolti.
Secondo lei le nuove tecnologie possono aiutare a migliorare le condizioni psicologiche degli studenti universitari?
Secondo me per aiutare dal punto di vista psicologico gli studenti universitari, non è tanto l’intelligenza artificiale in sé: tante tecnologie infatti possono fare qualcosa di utile.
Per esempio possiamo usare le nuove tecnologie come il Metaverso per rendere più coinvolgenti le lezioni o le esperienze didattiche a fronte di una situazione in cui bisogna studiare a distanza, come è già avvenuto durante la pandemia.
Si potrebbe utilizzare l’intelligenza artificiale per analizzare il comportamento delle persone e fare delle sofisticate analisi dei dati per capire quali fattori contano realmente sia per il benessere, che per il malessere degli studenti.
Penso che per sostenere il benessere degli studenti ci sia bisogno di una buona idea di ricerca, una forte sensibilità nei confronti dei bisogni delle persone e partire da un approccio umano. Solo sulla base di questi principi possiamo valutare se e quali risorse tecnologiche possono essere utili.
Saprebbe indicarci quali sono i punti di contatto, se esistono, tra Intelligenza Umana ed Intelligenza Artificiale?
Penso che prima di tutto sia necessario fare delle precisazioni.
Partiamo dalla semplice locuzione intelligenza artificiale: all’atto pratico l’intelligenza in psicologia è una misurazione, un quoziente legato ad alcune capacità cognitive. Quello che viene comunemente inteso con intelligenza artificiale non ha nulla a che fare con la misurazione, ma è l’intenzione di ricreare nelle macchine alcune capacità cognitive umane, che non riguardano necessariamente quelle individuate dall’intelligenza in psicologia. Sarebbe più corretto quindi chiamarla mente artificiale o coscienza artificiale.
I punti di contatto tra l’Intelligenza Artificiale e la Coscienza Umana in realtà sono relativamente pochi. La nostra mente è infatti meno capace e performante per quanto riguarda l’analisi complessa di dati e l’applicazione di alcuni algoritmi matematici. D’altra parte però, la mente umana ha accesso ad una serie di capacità che sono completamente sconosciute all’intelligenza artificiale. La sfera dell’emotività, dell’empatia, delle relazioni interpersonali, della comprensione del significato e della comprensione del contesto in cui ci si trova sono completamente sconosciute ad un dispositivo tecnologico, poiché si tratta di una semplice macchina che è in grado di formulare delle analisi molto complesse ma strettamente limitate ai dati con cui è stata addestrata
Conosce qualche libro, podcast o articolo che vuole consigliare ai nostri lettori per essere ben informati e consapevoli a proposito di questo tema?
Mi vengono in mente un paio di libri che sono molto informativi e che spiegano come funziona l’intelligenza artificiale: principalmente trattano dei suoi effetti e di come è opportuno gestirla.
Il primo si chiama “L’etica dell’Intelligenza artificiale” di Luciano Floridi che affronta buona parte dei quesiti legati all’implementazione delle nuove tecnologie in ambito sociale.
Il secondo libro si chiama “Le macchine sapienti” di Paolo Benanti che spiega come approcciare eticamente e dal punto di vista sociale i temi dell’intelligenza artificiale.
Il terzo libro che vorrei consigliare a tutti voi si chiama “Essere una macchina” di Mark O’Connel che è un reportage giornalistico effettuato sulla base di interviste ai personaggi più influenti e particolari che sostengono l’utilizzo delle nuove tecnologie per superare i limiti umani, come per esempio l’invecchiamento e la morte.
Ci teniamo ancora a ringraziare Stefano Triberti per averci regalato il suo tempo e questi preziosissimi spunti di riflessione. Grazie mille per aver dato l’opportunità a JEMIB di conoscere e capire il mondo dell’intelligenza artificiale.
#JEMIBreview
Aurora Pintarelli