Prendete ad esempio le api.
Sì, quegli insetti colorati che passano la loro vita a raccogliere polline, che poi diventa cera, o miele, che diventa a sua volta cibo e che, per questi insetti, diventa anche “casa”.
L’Ellen MacArthur Foundation afferma che “L’economia circolare è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola”.
Ciò vale a dire che in un’economia circolare tutte le attività, a partire dall’estrazione fino alla produzione e il consumo, sono organizzate in modo tale che i rifiuti di una diventino valore per l’altra, creando un circolo virtuoso in grado di abbattere quell’ “impatto ambientale”, che qualcuno negli ultimi tempi sta spesso ricordando essere la più grave minaccia nella storia dell’essere umano.
Benché ultimamente questo tema sia giunto alla ribalta, come altre volte era accaduto, l’economia circolare di per sé non è poi così giovane. La sua prima apparizione pubblica risale al 1966, le sue prime applicazioni pratiche risalgono agli anni ’70, la sua prima menzione politica risale al 2006 (Cina, 11° piano quinquennale).
Si tratta di una teoria comunque sempre innovativa, che va di pari passo con lo sviluppo tecnologico e non può prescindere da esso, e allo stesso tempo, così come la definizione vuole, che riesce ad autoalimentarsi ed evolversi continuamente.
C’è un aspetto, però, che pochi sottolineano quando si affronta il tema dell’economia circolare: il suo possibile impatto positivo sul benessere della collettività.
Anzitutto “economia circolare” vuol dire, in senso pratico: riutilizzo, riciclo e in definitiva condivisione; pensiamo ad esempio a tutti quei servizi che vengono forniti in soluzione “sharing” e che possono anch’essi rientrare nella nozione di economia circolare.
Come è stato affermato anche durante un evento dello scorso 20 maggio, promosso dal CESISP (Centro di Ricerca in Economia e Regolazione dei Servizi, dell’Industria e del Settore Pubblico), in un’economia circolare un bene durevole può diventare servizio, se il suo utilizzo, quindi il suo consumo, viene condiviso da più utenti.
Ma scendendo più nel vivo della materia, economia circolare vuol dire anche che “rifiuto” può diventare “cibo”, il che significa quindi portare quasi allo zero i possibili sprechi generati in un’economia “lineare”, fornendo una possibile soluzione, o parte della soluzione, di un problema (la fame nel mondo, n.d.a.) che sicuramente merita attenzione.
Ma ci sono ancora altri due aspetti fondamentali, di cui soli in pochi ricordano l’esistenza: la diversità è forza.
Potrebbe apparire più come uno slogan elettorale, o peggio una citazione orwelliana, ma questa asserzione (diversità è forza), è puramente afferente alle teorie economiche.
Ed è ovvio, considerando che le caratteristiche più importanti di un’attività nell’economia circolare sono: modularità, adattabilità e versatilità; traguardi che è possibile raggiungere soltanto nel momento in cui partecipano al gioco, quanti più soggetti possibile.
“Diversità è forza” significa che, una moltitudine di idee concorrono per lo stesso obiettivo, il che porterebbe molto probabilmente dei benefici alla collettività, in termini economici, certamente, ma anche in termini forse più umani, che vanno al di là dei semplici numeri.
Ma a quanto pare fa molta più gola, parlare di economia circolare solo in relazione ai suoi possibili benefici per Madre Natura, dimenticando questi ulteriori aspetti che forse colpirebbero al cuore le persone, anche proprio quegli elettori che molti soggetti politici (e non) oggi invocano.
Vi è però un altro motivo, per cui l’aspetto ambientale è preponderante, ed è sicuramente legato alla relativa facilità di quantificazione. È notoriamente più semplice misurare la riduzione di CO2, o il numero di tonnellate di cibo non mandato al macero, piuttosto che la soddisfazione di un essere umano, dovuta al vivere in un sistema economico, con la S maiuscola, che possa coinvolgerlo e portargli benefici, senza necessariamente richiedergli uno sforzo.
Una cosa però è certa, l’economia circolare non è più soltanto una teoria affascinante e ideale, è ormai qualcosa di estremamente reale, con una prospettiva di crescita (i numeri parlano di oltre 80 miliardi di euro di fatturato, soltanto per l’Italia) che non si vedeva da decenni.
Le api, si è detto, quei piccoli animali che vivono in comunità, piccole e grandi, che operano insieme con l’obiettivo di sopravvivere, strette nei loro spazi e con risorse non inesauribili.
#JEMIBreview
Dario Marrone