“Ho trovato un’offerta a un prezzo stracciato per trascorrere una settimana a Bali il prossimo inverno, in un resort all-inclusive!”
“Davvero? Io invece vorrei andare in vacanza Formentera a Luglio, quest’anno ci vanno tutti!”
“Io opterò per la montagna quest’estate, le spiagge estive sono troppo affollate!”
Al giorno d’oggi viaggiare è diventata una possibilità alla portata di molti. Che si tratti di una vacanza all’altro capo del mondo piuttosto che di una scampagnata fuori città, il turismo è un settore in crescita esponenziale. Secondo la World Tourism Organization nel 2018 sono stati ben 1,4 miliardi gli arrivi internazionali in tutto il mondo. Un trend la cui impennata ha subito un taglio netto con l’avvento della pandemia di Covid-19, ma che ha ripreso con ancora maggior forza a partire dallo scorso anno.
È in un ambiente di questo tipo che si fa largo un nuovo concetto, fondamentale al punto da essere stato inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Si tratta del turismo sostenibile.
Il sito di World Tourism Organization definisce il turismo sostenibile come “una struttura che soddisfi i viaggiatori, gli ospitanti e l’industria del turismo supportando obiettivi come la protezione dell’ambiente, la lotta al cambiamento climatico e il mantenimento dell’integrità culturale. Un turismo che incontri i bisogni di tutti e aumenti le opportunità per il futuro, migliorando la prospettiva economica e sociale ed evitando, contemporaneamente, effetti indesiderati sociali, naturali e culturali”. Sempre sul sito, si legge che il turismo “deve tenere pienamente conto dei suoi impatti economici, sociali e ambientali presenti e futuri, rispondendo alle esigenze dei viaggiatori, dell’industria, dell’ambiente e delle comunità che ospitano“.
Semplificando, il turismo sostenibile trova il suo fulcro nella figura del turista responsabile, un viaggiatore in grado di orientare le proprie scelte sulla base delle 3 E: economia (economy), etica (ethics) e ambiente (environment).
Per approfondire l’argomento da un diverso punto di vista ci siamo confrontati con Mirko Morgese, associato dell’area HR, il quale ha di recente avuto un’esperienza di lavoro stagionale a stretto contatto con il mondo del turismo e della sostenibilità.
In quale località hai lavorato nel corso della stagione estiva? Qual è stata la tua esperienza?
Ho trascorso circa un mese e mezzo presso il Rifugio Tuckett e Q. Sella nelle Dolomiti di Brenta (2272 m.s.l.m.). È stata la mia prima esperienza di questo genere: sono amante delle montagne e ho colto questa occasione al volo quando mi si è presentata, poiché mi permetteva di unire la soddisfazione del vivere per un periodo immerso fra le montagne con l’utilità del lavoro stesso. Fortunatamente, sono stato subito accettato per ricoprire l’incarico: questa stagione estiva ha visto infatti una forte carenza di organico. Il lavoro si è rivelato fin da subito impegnativo, ma l’esperienza in generale è stata molto positiva.
Quali sono i comportamenti che un turista dovrebbe tenere in un ambiente naturale, ai fini di limitare l’impatto della propria presenza?
Come anticipato prima, sono un grande amante della montagna, del trekking e delle escursioni. Il lavoro in rifugio mi ha permesso di vivere l’esperienza anche dall’altro lato della medaglia, come responsabile della gestione delle persone che sono a loro volta frequentati dell’ambiente montano.
Il turista che sceglie un rifugio d’alta quota come meta per la giornata o per il weekend deve sempre tenere a mente dove si trova, per prestare di conseguenza attenzione all’impatto che il suo comportamento e le sue scelte possono avere sull’ambiente che lo circonda.
Per esempio, acquistare del cibo in un rifugio per poi non finirlo risulta come uno spreco immenso. Quel cibo è stato infatti trasportato dalle zone di valle, con i costi e l’inquinamento che ne conseguono e, se avanzato, viene gettato via, non può essere riutilizzato. Un comportamento più virtuoso sarebbe il consumare tutto ciò che si acquista in loco, oppure portare con sé da casa il cibo per la giornata. Un altro aspetto focale della questione è quello dei rifiuti: il turista dovrebbe sempre riportare a valle i propri rifiuti, evitando di abbandonarli presso il rifugio o, peggio ancora, nei boschi.

Quali accortezze mettono in pratica i gestori e i lavoratori di un rifugio per essere maggiormente sostenibili?
Purtroppo il solo essere in una posizione “scomoda” da raggiungere e lontana dalle principali vie di comunicazioni rende tutto meno sostenibile. Tutti i beni di consumo di un rifugio vengono lì trasportati tramite teleferica (se presente) o elicottero, producendo un impatto considerevole sull’ambiente. La teleferica inquina meno, nonostante l’elettricità usata per il suo funzionamento derivi spesso da generatori a benzina, i quali vengono usati anche per il consumo elettrico del rifugio stesso, nei casi in cui non siano presenti pannelli fotovoltaici o solari. Alcuni rifugi hanno promosso negli anni un sistema “plastic free”, prediligendo contenitori in vetro riutilizzabili. Questo non è però sempre possibile: nei luoghi dove l’acqua non è considerata potabile, la richiesta di bottigliette d’acqua di plastica, più leggere da trasportare, è ingente.
In generale, il rifugista ha il compito di raccomandare ai turisti di prestare attenzione alle risorse: non sprecare il cibo acquistato in rifugio, cercare di portare da casa le borracce d’acqua per non doverle acquistare in bottigliette di plastica, non sprecare carta igienica e sapone nei bagni. Tutto ha un impatto, a partire dal trasporto fino allo smaltimento: maggiore la quantità di rifiuti prodotta in alta quota, maggiore il dispendio energetico e l’inquinamento per trasportarli a valle tramite teleferica o elicottero.
Il rifugista è colui che ha il compito di guidare i turisti alle scelte consapevoli e sostenibili: quest’estate c’è stata una forte carenza d’acqua, di conseguenza abbiamo dovuto chiedere a coloro che pernottavano in rifugio di evitare di fare la doccia. Sono decisioni scomode, ma necessarie.
Si potrebbe fare uno sforzo maggiore per ottenere un turismo che sia ancora più sostenibile?
Certo, anche se si tratterebbe di una mentalità da adottare non solo nel contesto del rifugio di montagna, ma in generale in tutto ciò che ci può portare verso un mondo maggiormente sostenibile, senza riferirsi al solo ambito del turismo. Lavorando in questo ambiente, ho notato alcune differenze tra il rifugio Tuckett e altri rifugi da me conosciuti.
I rifugi ben connessi con i mezzi di trasporto (come ad esempio tramite telecabine) il livello dei frequentatori va dal turistico/amatoriale fino al grado più esperto. Molti di coloro che appartengono alla prima categoria citata sono turisti che vanno sì in montagna, ma che sono abituati alle comodità della città. Questo va a influire direttamente anche sulle richieste dei clienti, abituati ad avere qualsiasi prodotto o servizio a disposizione. Oggi nei rifugi è più semplice trovare, ad esempio, alimenti in più da consumare rispetto a qualche anno fa (come piatti gourmet, merendine o bibite).
C’è una tendenza di questo tipo per rispondere al mercato, protagonista del quale è il turista medio che troppo spesso non è educato, o non capisce il suo trovarsi in un ambiente diverso, nel quale si devono rispettare le regole della natura, pretendendo alimenti che solitamente si trovano in un bar o in un ristorante di città. La conseguenza diretta (dopo aver ricevuto numerose richieste di uno stesso tipo) è che il rifugio si attrezza per coprire la domanda, senza però prestare attenzione all’impatto ecologico che ciò può avere.
La mia impressione finale è dunque questa: molti credono che le cose non possano cambiare, ma io credo che invece possano eccome. Nel piccolo contesto del rifugio di montagna, questo potrebbe partire da una maggiore sensibilizzazione a comportamenti più corretti e a pratiche più ecologiche e sostenibili. Perché poco importa se si tratta di un turista che frequenta la montagna durante le vacanze piuttosto che un rifugista che vive tra quelle stesse cime da sempre: il cambiamento deve partire da ognuno di noi.
#JEMIBreview
Emma Salvadori